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I Siciliani l’abolirono il 16 marzo 1782
Il merito principale della soppressione va riconosciuto certamente al giovane re di Sicilia Ferdinando III di Borbone (che era anche re di Napoli con il titolo di Ferdinando IV) e al viceré illuminista Domenico Caracciolo, i quali, fra l’altro, vedevano nell’inquisizione un’istituzione anacronistica e un potere invadente, prevaricante e spesso limitativo della sovranità e delle prerogative dello Stato Siciliano.
Il tribunale siciliano del Santo Uffizio godeva peraltro di un notevole patrimonio e amministrava 3.530 onze. Era, in qualche modo, anche “stipendificio” dal momento che nel proprio libro paga risultavano ben 3.410 dipendenti a vario titolo.

È opportuno sottolineare tuttavia che l’iniziativa dell’abolizione fu resa facilmente attuabile grazie al contesto di crescita culturale che in quell’epoca dominava in Sicilia e le cui tracce erano ben riconoscibili non soltanto nella vita di ogni giorno, ma soprattutto nelle Scienze, nelle Arti, nell’Urbanistica, nella Letteratura, nella difesa e nel rilancio della Lingua Siciliana, nella riaffermazione dell’identità nazionale del Popolo Siciliano e via dicendo.
Un’epoca che viene ricordata a piccoli “pezzi” qua e là, quando non se ne può fare a meno, ma che nella sostanza rimane “sottratta” alla memoria storica del popolo Siciliano, della Nazione Siciliana. E che invece va recuperata nel suo insieme e nei suoi significati.
Se a Palermo e nelle varie città e contrade della Sicilia si facesse soltanto una mostra, seria e completa, della Sicilia del 1700, si smentirebbero finalmente tanti falsari e manipolatori della storia della Nazione Siciliana e si lascerebbero piacevolmente stupìti milioni di visitatori.

Per il momento e per la circostanza, ci permettiamo soltanto di evidenziare che questo era il clima diffuso e generale, nel quale avvenne la soppressione dell’inquisizione e nel quale, però, da circa mezzo secolo, era stata, se non bloccata totalmente, certamente ridimensionata ogni attività del tribunale suddetto e nel quale non si era più celebrato un solo “auto da fé” (ossia, la proclamazione solenne della sentenza dell’inquisitore).
Fu tuttavia infelice, e non sappiamo quanto in buona fede, la decisione di bruciare testimonianze, atti e suppellettili del tribunale stesso, sulla cui lunga attività andrebbero comunque fatti studi più organici.
Fu saggia, invece, e utile alla comunità la destinazione dei beni e delle risorse, sulle quali si erano alimentate le rendite e le ricche finanze dei grandi inquisitori. Ne beneficiarono intatti istituzioni culturali quali l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico e quella benemerita Accademia degli Studi che dal 1806 sarebbe diventata l’Università di Palermo.
Pippo Scianò (Centro Studi “Andrea Finocchiaro Aprile” di Palermo)
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